Dalla
mostra fotografica “La strada, la lotta, l’amore”.
Per
superare i propri limiti.
Testo
un po’ ironico, ma non troppo, di Michela Mazzorana
Chi
se lo aspettava che vedere una mostra fosse così difficile.
Ho
dovuto sfidare il terrore del vuoto, anche se davanti all’ingresso
potevo scegliere di rinunciare alla visita.
Non era indispensabile,
ma cos’è veramente dispensabile?
Non
ho mai sofferto di vertigini, anche se mi sono sempre ben guardata di
avventurarmi in luoghi difficili da affrontare come ponti
pericolanti, giostre mozzafiato, strapiombi e trampolini alti e bassi
che fossero. Pagato il biglietto, per vedere le prime foto scalare la
prima rampa. Wow, penso, anche un po’ di ginnastica! Male non fa,
anzi. Ma più guardavo le scale proiettate verso l’alto, più
immaginavo di perdere l’equilibrio e capitombolare a terra, dopo un
volo di parecchi metri.
Non
riuscivo a gustarmi le foto fino in fondo; ad ogni piano diventavano
sempre più gli scalini da scendere. Sudavo. E non capivo se fosse
per il caldo o per il terrore che stava prendendo il sopravvento.
Mio
figlio ormai è sempre più abile a fare domande scomode. Perché
mamma, tu che sei nata in montagna hai così paura di scalare questa
torre?
Amore,
forse perché se non avessi avuto paura avrei preferito rimanere ad
abitare in montagna? Potrebbe essere stata, forse, una risposta
decente?
Ad
un certo punto stavo per perdere il controllo di me. Panico. Non mi
preoccupava la salita bensì la discesa con le ciabatte da mare e mio
figlio da portare in salvo. Lui agile come un cerbiatto che poteva
però inciampare e farsi male.
Mi
sono fermata e mi sono calmata, sarei stata veramente ridicola. O
forse neppure tanto perché per affrontare l’impresa bisognava
leggere il vademecum appeso alla prima scala e firmare. Se si
soffriva di cuore o di altre malattie cardiocircolatorie non si
poteva assolutamente salire.
Bambini
in passeggino, anziani, mamme sole con carrozzina e disabili erano
automaticamente esclusi. Una mostra davvero esclusiva, riservata ad
una piccola élite ristretta, pensavo. E perché avevo deciso di
doverne proprio farne parte?
Mi
sono chiesta perché non hanno sostituito queste ripide scale con un
ascensore di vetro trasparente. Sarebbe stato fantastico!
Da
accessibile a pochi ad accessibile a tutti, salvo per l’altezza
finale un po’ elevata. Democrazia della cultura o cultura
democratica.
In
pochi metri quadri erano appese le immagini in b/n di tre grandi
fotoreporter italiani. Ad ognuno erano riservati due piani. Cortei di
scioperi, assassini di mafia, bambini di strada, pazzi finalmente
liberati, rivolte, madri dignitosamente povere, innamorati. I
famigerati e poco conosciuti Anni 70.
Le
donne fotografe saranno state in minoranza ma sicuramente anche le
più brave, penso fra me e me. Oserei dire anche le migliori a
raccontare con pathos, eventi, persone, drammi e felicità. Una
capacità che va oltre la profondità di campo e coinvolge la
profondità di sentimento che ogni donna ha innata dentro di sé.
Letizia Battaglia docet. Come Giuliana Traverso, Carla Cerati, per
citare solo tre nomi del panorama italiano delle fotografe ormai
ultra ottantenni, vere pioniere dell’emancipazione femminile in
questo campo dove l’empatia e la creatività si devono unire alla
tecnica per diventare opere d’arte.
Superati
miracolosamente incolumi quattro piani, arrivati al quinto, stavo per
mollare.
Nico,
guarda non serve che andiamo anche al sesto, esclamo. Possiamo
fermarci qui e tornare indietro. Mi spiace per gli scatti di Uliano
Lucas, possiamo vivere anche senza averne visti la metà di quelli
esposti. Ho anche un suo libro, cercavo di convincermi, acquistato
per la mia ultima tesi, non si offenderà di certo! Anzi abbiamo
qualche speranza in più di uscire vivi da qui. E poi per il mio
bimbo queste foto sono ancora un po’ difficili da capire, alcune
devo mascherarle con la fantasia per renderle meno crude per la sua
età.
Non
stavo infondendo coraggio e perseveranza al mio primogenito, inutile
perseguire teoricamente la filosofia del non mollare mai quando poi
davanti a una rampa di scale decidi di non salire fino al punto più
alto della torre. Una più o una meno, cosa vuoi che sia ma almeno
così si riduce la probabilità di inciampare, scivolare, cadere,
farsi male. Non ero, per nulla, un bell'esempio di temerarietà!
Stavo partendo in ritirata, sicuramente un po’ delusa da me stessa,
sopraffatta da un insistente fifa blu, colore del mare all'orizzonte,
che avrei potuto spacciare per istinto di sopravvivenza.
Ma
no, c’è qualcuno che la grinta l’ha già, forse nel dna e non
teme neppure l’altitudine; è aquila e stambecco, volpe e micio, è
delfino e crostaceo, alle volte sembra il padre che non ho più,
perché invece di chiedere consigli, lì dispensa con la saggezza e
la maturità di cui dovrebbe essere ancora privo.
No,
mamma ormai saliamo fino all'ultimo piano, mi esorta. Sorprende e
non puoi mica dirgli di no, non puoi perché nel futuro potrebbe
essere un precedente troppo scomodo e sventolartelo per evitare di
sentirsi dire vai avanti quando gli farebbe più comodo fermarsi.
Certo
amore, arrampichiamoci insieme. Non ci si ferma al penultimo piano,
ti ho portato fino a qui perché non ho mai percorso le strade più
facili e non ho mai rinunciato a ciò in cui credevo per paura di
qualche scalino. E tu devi imparare a fare altrettanto e anche
meglio! Alla fine siamo riusciti a scendere prima della chiusura, mi
sembrava di essere in cordata a 2000 metri su per giù, a strapiombo
sulla roccia. Per mia fortuna non c’erano visitatori (qualche
dubbio?!?) a gustarsi la commedia.
Certamente
dovevo salire quelle scale, avevo mille scuse da poter inventarmi per
non farlo, ma i cinque piani più uno dovevano essere visti con il
mio piccolo uomo, anche se l’esperienza guarderò bene da
ripeterla, a meno che non chiami Superman a salvarmi!
P.s.
Nel tabellone mette la propria firma e lo invito a fare un piccolo
disegno che rappresenti l’esperienza appena vissuta. Disegna il
presepe intero. Sono perplessa, siamo a luglio! Non ci arrivo
subito, lui non mi spiega (prima o poi sa che ci arrivo da sola) e mi
dice soltanto: Gesù bambino ci vuole bene!
A
Valentino, che ignaro di tutto, succhiava serenamente il suo biberon all'ombra del parco, aspettando di rivederci per accoglierci con
uno dei suoi meravigliosi primi sorrisi.
Michela